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Riflessione del lunedi.

Passato il  fine settimana con qualche movimento di alzata (devo assolutamente lavorare sull’iperestensione della schiena anche in accosciata, pensavo di essere sufficientemente flessibile, ma…), con un po’ di freddo di neve ghiacciata (ma in maniera molto divertente, arrampicando e  sciando un pochino con mia figlia), ora sto preparando la nuova settimana e il nuovo mese di allenamento (inserendo qualche spunto più tecnico in previsione dello stop natalizio).

In attesa di pubblicare gli allenamenti di questa settimana, volevo oggi condividere una riflessione sempre sul tema “parkour”, definizioni e interpretazioni che ognuno di noi da a questa “parola”.

Ho deciso di partecipare, ormai 2 anni fa al corso per qualifica ADAPT 1 . Ho sostenuto le spese di tutto e anche se avevo un ‘ ottima compagna di viaggio, ho vissutto l’avventura senza sapere nulla di più di dover partecipare. Nel rispetto di questa certificazione e nel rispetto delle persone che l’ hanno creata e costruita ho studiato la definizione di parkour contenuta al suo interno e ho recepito i suoi principi chiave. Ho verificato che questi punti convergessero rispetto alla mia visione personale, alla visione di tanti altri praticanti che reputo seri e alla visione dei fondatori quando ho potuto verificare la loro posizione personalmente.Quello che insegno è quindi questo, ne’ più ne’ meno. Quando definisco “corso di parkour” , il corso tratterà esattamente di quella definizione, di quei principi, di quelle applicazioni pratiche.

Eccessiva standardizzazione? Eliminazione delle diffrenze? Perdità di libertà e di sviluppo? Io non credo. Ogni praticante è libero di continuare la sua ricerca personale nel parkour e nell’arte dello spostamento, in ogni campo e in ogni applicazione. Quello che si cerca è solo di avere uno standard minimo qualitativo nell’insegnamento. E una definizione e dei principi di base comuni. Quanto serve per avere una disciplina in comune da amare e servire, da condividere e trasmettere per il potente messaggio liberatore e di scoperta che porta con se.

Nella pratica dobbiamo invece comprendere che esistono persone diverse, influenze diverse, età diverse. L’incomprensione tra esse nasce quando vorremmo che la magica famiglia del “Parkour” fosse unita sotto li stessi principi , perchè riteniamo sempre importante appartenere a un “gruppo sociale” i cui membri rispettano gli stessi principi e in cui ci sentiamo speciali e a casa. Questo succede nella musica, negli altri sport, in altre mille aspetti della vita.
So che nel calderone “parkour”  rientra anche chi con me non ha nulla da spartire, ne’ sul piano umano ne’ su quello dell’allenamento. Dire di fare la stessa disciplina, magari fare anche movimenti esteriormente simili, non mi rende per nulla appartenente allo stesso gruppo sociale di tizio o caio.
Ed è inutile negare che il parkour sia quanto meno diviso in 2, la parte “funzionale” e “marziale” e la parte freestyle (cosi non incappiamo nelle “definizioni” dei fondatori), con le loro infinite sfumature in mezzo, e cosi’ rimarrà.
Io mi confronto quasi quotidianamente , come penso tanti altri, nello spiegare cos’è il parkour, e cosa è per me. Ma non posso negarlo: la massa, i media e la paltea come tutti i fenomeni mediatici puntano l’attenzione sull’esteriorità, sulla parte freestyle ed esibizionistica. Siamo chiamati a rappresentare il parkour anche per tutte le altre cose che tanti di noi condividono e allenano ogni giorno. Detto questo non ho bisogno di sentirmi parte di una famiglia o di un’etichetta per difendere la mia buona fede e le mie passioni.Se parliamo invece di Adapt e insegnanti certificati Adapt, vorrei avere sempre e comuque la certezza di muovermi sulle stesse fondamenta e sugli stessi standard qualitativi.

Lo dico perchè sono quasi stufo di dover precisare e spiegare quasi ogni volta che cosa è il parkour e che cosa no, sapendo che la mia potenza di informazione è cosi bassa rispetto ai media e ai video più cliccati.
Ovviamente continuero’ la mia azione, anche perchè so che condivido il pensiero con tanti, conosco il pensiero e il metodo dei Fondatori e dei lori diretti allievi, di pkgen e del loro team.

Per questo, io voglio lavorare su tanti altri aspetti del movimento e non solo. Cerco di influenzare le persone che conosco a tante altre attività, che personalmente reputo parkour e che cerco di allenare. Ecco il motivo di questo blog. Cercare di nuovo di mostrare quante cose possono essere parkour, non classico, ma sfide eccezionali per noi piccoli uomini, oltre a “riesci a fare il precision di 11 passi” e riesci a fare il “back flip”…..magari un giorno saranno ” riesci a rimanere in equilibrio per un’ora” o ” riesci ad arrivare in cima a quella montagna, ora, piena di neve?”

Speriamo.

(parte di questo commento è stato scritto prima del post di blane)